LA STORIA. Una famiglia coreana si trasferisce in Arkansas dalla California. Non gliene andrà bene una e bisognerà anche gestire la nonna piromane. P.s. Minari è quel prezzemolo che mettono dappertutto e mi rende odiosa una parte dei loro piatti. Oltre che questo film.
PERCHÈ VEDERLO (O NON VEDERLO). Se non siete degli assidui frequentatori di Steinbeck e delle sue saghe familiari troverete il plot appena interessante. Se, invece, avete confidenza con Furore troverete Minari un noioso già sentito. La fotografia è meravigliosa ma per quella basta prendersi un bel libro illustrato. Candidato a sei premi Oscar ci fa capire quanto gli americani amino queste storie di stranieri a caccia del sogno stellestriciato. ATTENZIONE: se dite che Minari non vi è piaciuto risulterete antipatici in una giornata culturale a Capalbio.
NOTA DI MERITO. L’amico dei coreani che espia le sue colpe (la guerra di Korea) portando una croce la domenica. Un colpo al cerchio e uno alla botte. D’altra parte il regista Lee Isaac Chung è un po’ di qui e un po’ di lì.
VOTO
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